Il report di Federica Mingolla del suo primo viaggio arrampicata nella Yosemite Valley, USA, insieme ad Andrea Migliano

Credo che Yosemite sia una tappa obbligatoria nella vita di unoscalatore, qualunque sia la sua passione, dalla falesia, alle viemultipitch al boulder. Primo perché è una mecca dell’arrampicatadove è nata la conquista delle enormi pareti di roccia, le big wall, edove si è sviluppato il primo significativo movimento di scalatori chehanno poi portato l’etica e lo stile di allora in giro per il mondo.Quello che è diventata oggi l’arrampicata lo dobbiamo in parte anchea quello che hanno fatto quegli“sgangherati”durante quegli anni dirivoluzione.

Un esempio ce l’abbiamo avuto in Italia contemporaneamente aquello americano, il Nuovo Mattino in Val dell’Orco, che alla fine nonèaltro che la nostra piccola Yosemite. Essendo una grande amante diquesta valle ero molto desiderosa di vedere El Capitan, il padre delCaporal, la parete in Val dell’Orco dove sono nati, cresciuti e si sonorealizzati molti dei miei sogni di scalatrice fin da quando ho iniziatoad appassionarmi alle vie multipitch, in particolare a quelle in stiletrad.

Equindi eccomi in Yosemite verso la metà di ottobre con uncompagno d’eccezione, Andrea Migliano, il rifugista delle FontiMinerali, sempre in Orco, e soprattutto grande amico, anche luiamante dell’arrampicata su granito in stile tradizionale e con tantavoglia di viaggiare e vedere il mondo.

Siamo partiti senza nessun obiettivo particolare, se non quello ditoccare la roccia americana, scalare sulle sue fessure perfette edimparare tutto quello che un’esperienza su una Big Wall in Yosemitepuò insegnarti. Eravamo entrambi dei pivelli a riguardo. E poiavevamo altre tappe per la mente, come lo Utah per Indian Creek eil Nevada per Red Rocks, anche questi dei posti da non perdere se siama scalare in fessura.

Tornando a Yosemite, la nostra é una storia di due soggetti iperattivie facilmente esaltabili dall’arrivo in posti nuovi e belli com’è appuntoil parco nazionale di Yosemite con El Capitan, Half Dome e le suealtre pareti maestosissime. Perciò potete immaginare com’è iniziatala nostra “vacanza” una volta arrivati al Camp 4, lo storicocampeggio dei climbers…

Dopo soli 8 giorni avevamo già scalato 3 vie lunghe tra le piùimpegnative in fessura (la West Face di El Capitan, e le vieThe North Face al Rostrum e Astroman alla Washington Column) e nei giorni di mezzoci eravamo assicurati almeno una dose di fessure nelle falesie vicine.

Poi é arrivato il desiderio di scalare una via sulla Sud del Capitan, dipercorrere quindi una vera Big Wall e metterci in gioco sul serio. Nonavevamo nessuna esperienza di questo tipo, prima di allora ilsaccone più grosso che avevo tirato su era stato sicuramenteinferiore ai 25 kg di peso.Questa volta dovevamo tirarneuno dialmeno 60 kg, che voleva dire più delmio peso e quindiavevamo lala necessità di fare un paranco doppio edimpiegare tanto tempo per portarlo in sosta.

Abbiamo deciso di percorrere la Salathé – Freerider per provare ascalare i tiri chiave in libera di Freerider, ma molto presto ci siamoaccorti che di giorno la parete, esposta bene al sole, era caldissima equindi diventava difficilissimo provare a scalare in libera le difficoltàpiù alte. Tanto per capirci, di giorno la parete scaldava talmentetanto che la notte fungeva da calorifero e non c’era nemmenobisogno di indossare il piumino per mangiare!

In ogni caso ho cercato di scalare al mio meglio nonostante il caldo eil peso da recuperare ad ogni sosta, che cominciava a gravare sullamia spalla difettosa. Nel frattempo, a quasi metà via e al nostro 2giorno, dove iniziano le vere difficoltà, abbiamo incrociato unacordata che stava provando da diversi giorni a liberare i tiri chiave diFreerider. Cosa fare? Superarli, ma facendo i tiri della Salathé,oppure mettersi in coda e rischiare di non dormire quella notteperché per motivi di leggerezza avevamo deciso di progredire senzaportaledge e quindi usando solo le cenge come unico possibilebivacco? La decisione che mi sono sentita di prendere – seguire laSalathé – ha dato ascolto più al mio spirito alpinistico che a quello diarrampicatrice sportiva. D’altronde ero anche partita moltoscoraggiata dalle condizioni della roccia e per la prima volta nella miavita mi sentivo così stanca da non capire se sarei stata in grado diriprendermi rapidamente.

Nei giorni prima di iniziare a scalare su El Cap avevamo decisamenteesagerato, e avevamo sottovalutato l’importanza della logistica se sivuole provare a scalare una Big Wall in libera. I nostri 4 giorni eranodecisamente pochi per l’obiettivo che ci eravamo prefissati. Chi scalain libera El Cap non sta meno di 5 giorni in parete, in effetti non vedoperché noi neofiti dovevamo essere diversi.

Non abbiamo portato a casa la Salathé in libera, é vero, ma dopo laWest Face la nostra seconda volta in cima al Capitan ha avutocomunque un valore enorme. Più di ogni altra cosa però è stataun’esperienza che mi ha insegnato molto, soprattutto ad essere piùumile davanti a ciò che non si conosce.

La prossima volta che tenterò di scalare questa parete in libera dovràessere tutto programmato già prima di partire dall’Italia, questo èstato per me un importantissimo approccio alla parete, anzi allepareti dello Yosemite.

In ogni caso dopo questi giorni trascorsi sulla Salathé sentivo ilbisogno di cambiare aria. lasciare Camp 4 non è stato facile, maavevo voglia di vedere altro dell’America! Quindi dopo 2 settimanedall’inizio del nostro viaggio siamo ripartiti alla volta di Las Vegas,passando per The Needles, Red Rocks e infine raggiungendo lanostra destinazione più bramata: Moab ed Indian Creek.

Non ci sono parole per descrivere la roccia rossissima, il desertosenza fine, le fessure perfette e le persone che abbiamo incontrato lì.Dormendo sempre come dei randagi in tenda e mangiando con ilfuoco acceso la sera, abbiamo passato delle magnifiche giornate neldeserto dello Utah.

La scalata in fessura su quell’arenaria così compatta ti lascia senzarespiro, anche perché le fessure sono tutte belle lunghe, e serveportarsi dietro tanta ferraglia e una vagonata di energia per uscirnesenza il fiatone.

Ogni giorno cambiavamo settore, ed ogni giorno ci stupivamo dinuovo. Qui la scalata non concede di salire gradi “duri”, un semplice5.11 può metterti K.O. per tutto il giorno: é uno stile completamentediverso dal nostro. Anche qui bisogna sapersi mettere in gioco epartire molto bassi, per poi stupirsi l’ultimo giorno con dei grandimiglioramenti raggiunti e dell’asticella che si é alzata parecchiorispetto al primo approccio.

Di sicuro adesso che tornerò in Orco mi renderò realmente contodella differenza che c’è tra lo scalare in fessura in America e farloinvece in un posto con un granito molto più generoso come il nostro(leggi molti più piedi, più aderenza, più disomogeneo). Una cosaperò devo dirla, gli americani saranno dei maghi in fessura ma sulletacche non ce n’è… W l’Italia! Alla prossima!

Federica Mingolla

, adidas

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